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普拉托当地新闻网站5月17日消息:经济危机连华人也受影响了并且许多人正在准备离开PRATO。继市中心有名的酒吧华人老板准备卖回到当地人手里后,我们在TOSCANA地区对于东方人做了一些深入调查,根据多方面的迹象显示,得到一个总结:华人因为经济危机正准备离开PRATO。【由于时间的关系下面很长的报道就不一一翻译了,还请见谅,请懂意大利语的看原文,能把内容解释一下最好不过。其实华人离开普拉托不只是因为经济危机,也有因为治安和针对华人的一些官方的行动和成为盗贼行凶的目标的原因才离开工作和生活的普拉托的。】帖子下面有老外记者拍摄的来自网络的普拉托华人街一览。La crisi colpisce anche i cinesi e in molti stanno lasciando Prato
Dopo la notizia di ieri della decisione dei proprietari cinesi del Caffè Bacchino, in pieno centro storico, di cedere l’attività (LEGGI L’ARTICOLO) facendola tornare in mani pratesi, proponiamo l’approfondimento di Toscana Oggi sul tema della presenza orientale in città. Un articolo che analizza vari indizi che portano ad una conclusione: i cinesi a causa della crisi economica stanno cominciando a lasciare Prato. E’ una ricerca che deve – giocoforza – procedere per indizi. E gli indizi paiono dire concordemente una cosa sola: una parte non trascurabile dei cinesi di Prato sta lasciando la città o per altre destinazioni in Italia o in Europa o per tornare nella madrepatria. Se c’è chi applaudirà a questi segnali di partenza, in realtà questo è un nuovo sintomo, preoccupante, di declino. Le partenze, infatti, specie di persone della classe operaia, sono causate dall’aggravarsi della crisi economica. Già a fine 2011, un reportage del giornale cinese di lingua inglese Global Times (che chiamava Prato “cortile cinese” d’Italia) raccontava come un tassista abusivo cinese di Prato dicesse: “almeno uno su cinque dei miei clienti mi ha detto di voler tornare a casa definitivamente. E anche io certamente me ne ritornerò in Cina prima o poi. Non c’è denaro qui”. Mentre un imprenditore cinese raccontava che “le vendite sono calate a picco e molte piccole compagnie hanno chiuso per tornare in Cina. Le più grandi stanno facendo ogni sforzo contro la crisi”. In quindici mesi da allora, le cose non sono certo migliorate. Certo, i dati ufficiali dell’anagrafe del Comune fotografano una realtà diversa. I cinesi residenti nel 2012 erano di poco superiori a 15mila, un aumento di quasi 2mila persone rispetto a due anni prima. Ma i segnali economici sono altri. I dati dell’Unione industriale sull’export del settore confezioni – ovvero proprio il ramo in cui più attivi sono i cinesi del territorio – nel 2012 ha visto una contrazione del 10%. Un’inversione di tendenza marcata e senza precedenti. Un dato che fa riflettere, se si pensa che il segno meno nell’export del tessile classico c’è stato, ma inferiore, sull’ordine del 3%.
Altro indizio. I cinesi hanno cominciato a presentarsi ai centri per l’impiego. “Difficile dire quanti, ma ci sono e questa è una novità portata dalla crisi”, spiega Michele Del Campo, direttore della Fil. Non solo. I cinesi vanno adesso anche alla mensa dei poveri, come ha sottolineato poco tempo fa l’associazione Giorgio La Pira che gestisce i pasti per persone in difficoltà in via del Carmine. Mentre un’elaborazione di dati Caritas per Toscana Oggi dimostra come lo scorso anno i cinesi che si sono presentati ai centri d’ascolto della Caritas sono calati, passando da 286 a 243. “I dati evidenziano un sensibile calo delle persone di etnia cinese che si rivolgono a noi”, sottolinea Massimiliano Lotti della Caritas. “Insieme a una povertà di ritorno nelle persone di nazionalità albanese (42 persone in più che sono venute alla Caritas) e a un aumento di 19 peruviani, tantissimi, considerata la piccola dimensione della comunità di quel Paese”.
“Sì, la popolazione cinese, specie nelle fasce più deboli, è in calo”, conferma Matteo Ye, una delle voci della comunità orientale di Prato. “È una comunità che ha una grande mobilità», spiega padre Francesco Brasa, francescano della comunità di via Donizetti. “Stanno un po’ qua e poi si spostano o a Milano o a Parigi. Le voci di un calo ci sono, anche come paura: c’è meno lavoro”. Quella cinese non è la sola etnia in calo. Come già la scorsa settimana ha raccontato nella rubrica di Tv Prato – Toscana Oggi “Gente di Prato” Malik, operaio cassintegrato pachistano, in quattro-cinque anni le persone dal Pakistan a Prato si sono ridotte da quasi 5mila a 500. “Lavoravano quasi tutti nel tessile, nella ciniglia in particolare. Hanno perso il lavoro e se ne sono andate, in Francia, Belgio, Germania, Inghilterra”. Damiano Fedeli
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